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La Ceramica

Considerata come forma decorativa di quell’ambito artistico definito “arte minore”, la ceramica nell’esperienza di Antonio Santacroce torna ad avere un’importanza di respiro quasi rinascimentale. Parimenti a quello per la scultura, l’interesse per la ceramica scaturisce probabilmente nel 1970, durante quell’esperienza svizzera che lo vede impegnato come operaio alla Ferrowohlen, industria del ferro da costruzione e fonderia. Proprio in quel periodo l’artista ha modo di osservare le diverse lavorazioni dei metalli, nonché le numerose azioni volte a cambiare e dare numerose forme e altrettanti scopi ad un materiale forte e mutevole allo stesso tempo.

Agire sulla materia, comprometterla irreversibilmente lasciandovi sopra una traccia, Antonio Santacroce ne resta affascinato. A questa riflessione deve sommarsi quella dell’influenza che ha sull’artista l’aver conosciuto un ceramista svizzero dal quale apprende una tecnica che egli stesso utilizzerà in futuro. Lavorare l’argilla, materia prima per eccellenza, dalla storia radicata nella tradizione siciliana, si fonde con la voglia costante di scolpire che sin dai tempi della scuola seduce l’artista. Egli indaga parallelamente le diverse tipologie di scultura trovando nella ceramica, cosi come nella terracotta un’alternativa plastica più versatile cui aggiungere la personale sperimentazione cromatica.

La ceramica inizia ha diventare una vera e propria passione a partire dal 2000, anno in cui durante un soggiorno a Grottaglie ha modo di osservare la ceramica locale. Da qui l’idea di tradurre molte delle sue iconografie in decori di artigianato artistico volte ad arricchire oggetti quotidiani di provenienza per lo più rurale. La forma più umile della scultura diventa il centro di un’espressione artistica nella quale seconda e terza dimensione si mescolano per dar vita ad un manufatto tanto prezioso quanto comune: il piatto. Nella storia dei piatti si cela la storia dell’origine, delle terre di Rosolini, della propria famiglia; si racconta la storia del fascino per l’archeologico e per l’intera tradizione mediterranea della quale sui piatti si sono fermati i segni, i colori e, perché no, i suoni del tintinnare giornaliero di chi vuole nutrirsi non solo d’arte ma nell’arte stessa.

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